Negli ultimi anni la ricerca di nuove proposte gastronomiche, lo sviluppo del turismo internazionale, l’ampliamento degli scambi culturali e le nuove mode alimentari hanno portato ad un incremento del consumo di pesce crudo. A questo aumento è associata la problematica già nota e mai dimenticata dell’Anisakidosi (Ordinanza Ministeriale 12 maggio 1992). Da sempre il pesce crudo risulta essere demonizzato per un maggior rischio di intossicazioni ed infezioni, non solo causate da microorganismi patogeni, ma anche, come vedremo, da parassiti, La parassitosi più comune e rischiosa associata al pesce crudo è l’infestazione da Anisakis: piccoli vermi (lunghi 1-2 centimetri, sottili, di colore biancastro e arrotolati a spirale) che infestano il pesce fresco. Questi parassiti si trovano nell’intestino e nella cavità contenente le viscere di pesci e molluschi cefalopodi (seppie, calamari, ecc), ma possono essere rinvenuti anche nelle masse muscolari se l’eviscerazione risulta essere tardiva. L’Anisakis si trova in numerosi pesci tra cui tonno, sardina, merluzzo, acciuga, pagro, pesce sciabola, pagello, pesce azzuro, nasello, totano, rana pescatrice, ecc..
Il fattore commerciale perciò riveste notevole importanza, dal momento che la presenza di larve di Anisakis è ormai segnalata in tantissime specie ittiche, anche di elevato valore, con rilevanti perdite economiche. L’uomo in realtà rappresenta solo un ospite accidentale di questo parassita che può attaccare le mucose determinando una parassitosi acuta o cronica che può insorgere già poche ore dopo aver ingerito del pesce crudo. Quest’infezione si manifesta con intenso dolore addominale, nausea e vomito e nei casi più gravi può anche generare ulcerazioni e perforazioni della parete dello stomaco. L’eviscerazione del pesce può scongiurare il pericolo di parassitosi per l’uomo, ma se il parassita è riuscito a migrare verso la parete muscolare il rischio si fa concreto, perchè non viene eliminato. Determinante diviene perciò la gestione del prodotto e il trattamento che viene eseguito su esso.
Tra le preparazioni che risultano essere maggiormente a rischio troviamo le classiche acciughe marinate tipiche dei ristoranti delle aree costiere, ma anche i carpacci di pesce crudo di specie diversa (pesce spada, salmone, tonno, ecc…) e piatti derivanti da culture
orientali quali preparazioni giapponesi, sushi e sashimi, sempre più apprezzati dai consumatori. La marinatura con limone o aceto, la salagione e l’affumicatura a freddo rappresentano dei trattamenti del tutto blandi ed insufficienti per devitalizzare le larve di Anisakis. Questo parassita, assolutamente resistente agli acidi, risulta essere però molto sensibile alla cottura o al congelamento. Per questa ragione si consiglia di cuocere sempre il pesce almeno dieci minuti a temperatura superiore a 60 gradi o conservarlo in freezer
almeno 24 ore a meno 20 gradi o 5 giorni all’interno dei congelatori casalinghi prima della consumazione a crudo.
“Tutti i prodotti ittici sono sottoposti a controllo da parte dei produttori (procedure di autocontrollo) e a campione dal Servizio Veterinario, ma nel caso in cui il consumatore preparando il pesce a casa trovasse l’Anisakis (la larva infatti seppur molto sottile è visibile ad una accurata osservazione) deve segnalare l’accaduto al venditore e consegnare il prodotto al Servizio Veterinario dell’ASS, unitamente dello scontrino di acquisto”. Dal pescivendolo è comunque importante acquistare sempre prodotti freschi (ad esempio l’occhio del pesce deve essere convesso, all’infuori, le squame e la pelle devono essere brillanti e mai coperte da muco; le branchie devono essere di colore rosso vivo). Tornati a casa, conviene sempre eviscerare subito il prodotto acquistato e refrigerarlo immediatamente dopo, prestando attenzione agli strumenti che si utilizzano per lavare e sfilettare il pesce e pulendo sempre coltelli e recipienti dopo ogni operazione per evitare contaminazioni. E al ristorante? La legge italiana disciplina rigidamente la somministrazione del pesce crudo al ristorante imponendo di servire il ‘crudo’ soltanto se è stato precedentemente congelato a meno 20 gradi per almeno 24 ore. Nel caso in cui l’esercizio si rifornisca di prodotti della pesca appositamente preparati e destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi, è necessario che il ristoratore richieda al suo fornitore la prevista certificazione da tenere agli atti ed esibire a richiesta degli organi di controllo. Si ricorda che il ristoratore ha la facoltà di riportare tale trattamento nel menù”**.
Sicuramente un prodotto crudo presenta rischi potenziali di contaminazione superiori a qualunque prodotto cotto, ma senza troppo allarmismo, come sempre, l’importante è essere informati, conoscere quelli che sono i rischi associati agli alimenti che mangiamo o somministriamo in modo da saperli gestire adeguatamente prevenendo così ogni possibile danno alla nostra salute e a quella dei nostri clienti.
**”Istruzioni per la somministrazione di pesce crudo”-Servizio Sanitario Regionale Emilia Romagna